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lunedì 6 luglio 2015

Non siamo in crisi. Siamo nel dominio delle “chiese” che applicano la teologia del relativismo e si vive nel sabotaggio del pensiero forte

di Pierfranco Bruni

I “gattopardi” non hanno smesso di vivere la metafora della incoerenza, anche se è il termine meno esatto per definire il trasformismo e il doppio saltismo soprattutto in un tempo di “miserabili”. Le finestre che si affacciano sui davanzali della cronaca hanno il colore non solo dell’inefficacia ma anche dell’ignoranza. 
Siamo infarciti di relativismo di fragilità e di leggerezza. 

D’altronde il sistema di valori di un contesto banalizzato come quello che ci tocca vivere ha una griglia di insostenibilità. La leggerezza è un “valore” e resta tale sino a quando non riusciremo a fare una distinzione forte su ciò che è valore e su ciò che dovremmo indicare come disvalore. Ma siamo oltre la filosofia francofortiana. 
Non si tratta di determinare nuovi modelli di una struttura del pensiero o del senso della morale. Piuttosto di una filosofia che è diventata ingombrante e sottile che è quella del relativismo. 

Il relativismo è la contrapposizione del certo e dell’assoluto. Ma quando una visione della vita tradizionale (e la tradizione è il cardine fondamentale dell’innovazione intesa con l’intelligenza dell’essenziale: da Guenon a Zambrano, da Seneca ad Agostino, da Paolo a Benedetto XVI) viene ad essere emarginata persino dal mondo cattolico significa che non solo il trasformismo è entrato nei gangli del senso di una esistenza del tempo, ma si sono offuscate le coscienze, perché le conoscenze del vissuto sono venute meno e le ombre sovrastano e dominano. 
Viviamo dentro le strategie delle “chiese”. Ovvero la teologia della liberazione, o ciò che una volta veniva indicata come tale, ha preso il sopravvento. Lo ha preso definendo modelli e riferimenti. Non ci sono più due realtà: quella cattolica e quella laica. Il “laicismo” è dentro il mondo cattolico e il cattolicesimo del progresso è dentro la pseudo realtà del laicismo. Sono due termini forti. Anzi erano due termini robusti. Oggi, entrambi, sono nel relativo del quotidiano. 
Non dobbiamo meravigliarci di ciò che accade lungo i nostri passi. 
Io appartengo ad una cultura della Tradizione che riesce ad essere Rivoluzione e non potrò mai accogliere questo nostro tempo della vuota sregolatezza che ha ucciso l’estetica, la bellezza, l’anima. 

Questo nostro tempo ha ucciso l’anima. Questa interazione tra cattolico e laicista vive dentro ciò che abbiamo definito, decenni fa, turbo economia. L’economia guida anche i valori dell’anima e della testimonianza nella spiritualità. Quindi l’anima non è più una metafisica, secondo questa visione, ma un sistema di concetti. 
È chiaro che io sono distante da queste accoppiate. Non mi hanno convinto all’età dei miei vent’anni, nonostante il mio rivoluzionario orizzonte della vita, e non sono accettabili oggi che vivo la rivoluzione della tradizione. 
La teologia della liberazione invade il pianeta. Come è possibile affrontare la questione islamica in Occidente con gli strumenti della teologia della liberazione? Tale teologia la si applica anche nei processi economici. Ci si preoccupa della crisi europea non guardando lo scavo che penetra il silenzio della saggezza. Ed è come le civiltà siano passate inosservate lungo il nostro cammino. 
Si è dentro il cono delle ombre che ha offuscato le consapevolezze del sacro e la confutazione liberale volteriana. Non siamo in crisi. La crisi non è un fatto negativo, anzi la crisi ci pone in discussione. Siamo altro rispetto alla crisi in una agonia estremizzata dove mancano i respiri e i sospiri. 
Cosa fare? Avere il coraggio di essere pesanti nel pensiero e di non accettare il conformismo. Ma il conformismo paga ed ha il suo libro paga. Il pensiero pesante è una “malattia mortale”, ma proprio in questa malattia si nascondono la grazia, la fortezza, il miracoloso e rivelante venerdì di Passione. 
Bisogna, come sempre, fare delle scelte. Questo nostro tempo le scelte le ha fatte. Mette insieme ciò che pensa siano i “valori” cattolici e ciò che si riferisce alla laicità nel processo progressista del laicismo in una teoria teologica che è però Precipizio. 
Gli eretici di entrambi le scuole di “ginnastica” (già, si vive sempre tra amore e ginnastica non solo in camera da letto, avrebbe detto il “Cuore” di Edmondo) sono oltre e sono scomodi. Io non mi preoccupo, resto fuori dal coro, ma, come gli sciamani mi hanno insegnato, cercando ogni giorno l’impeccabilità. 
Osservo. E mi domando. L’economia e la religione sono una prassi: da qualsiasi angolo possano giungere. L’economia ha bisogno del perdono apparente e la religione ha bisogno dell’economia per sopravvivere (potrei usare il plurale, ma non mi ha mai convinto il “plurale” perché sono stato e sono un sostenitore dell’Uno nel tutto in una filosofia dell’Essere).
In questo nostro tempo, cosiddetto moderno, che va da Hugo a Kundera, ovvero dai Miserabili alla Insostenibile leggerezza… occorre avere coraggio… purtroppo don Abbondio domina lo scenario… 

Dalla teologia della liberazione siamo nella piazza, non virtuale, della teologia del relativismo! Si è applicata la teoria del sabotaggio del pensiero forte.

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