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lunedì 8 dicembre 2014

Non bisogna camminare tra le vie di mezzo perché la vita è un attraversamento di porte…


di Pierfranco Bruni

La donna osservava i colori interni, le pareti, della Moschea. La luce si perdeva nel fluire dei riflessi che avevano raggi di sguardi. Aveva intorno al capo un foulard. Si vedevano solo gli occhio.
A piedi scalzi il danzare sui  tappeti creava onde che sembravano dune. Per terra con la testa che toccava il tappeto pregava. Non più un osservare e neppure un ascoltare.
La donna orante aveva perso l’inquietudine e si asciugava le parole con il silenzio. L’inquieto aveva dominato sempre il suo camminare tra le parole perché le parole erano fatte di vita di carne di sangue.
Si sbriciolava la sabbia della memoria e restava soltanto un tempo che non ha tocchi di finito. Rimase genuflessa e poi completamente stesa per un’ora.


La musica ovattata di un Oriente che ha il mare nelle conchiglie era un passeggiare d’anima. Era sola. Completamente sola. Si ricordò del giorno che aveva incontrato un uomo vestito di bianco e recuperò quella conversazione.
Ricordi. Lei ricordava.

L’uomo vestito di bianco:
“Non cercare mai una via di mezzo per sfuggire ad una decisione. Nel nostro Oriente viviamo di vie di mezzo, ma sono altri percorsi che ci portano al centro dell’anima e poi ci creano orizzonti nelle visioni oniriche. Per te che viene dall’Occidente la via di mezzo non è neppure una sfida. È semplicemente fuggire alle scelte. Se il coraggio ti riempie di dubbi, fai in modo che siano i dubbi a colmarti di coraggio. Le parole sono ondivaghe perché hai uno sguardo ondivago”.
Pause. E poi: “Nel deserto se perdi o se non acquisisci il coraggio sarà il deserto a travolgerti, nel suo vento, e il vento è un paese irraggiungibile se non hai la forza di varcare le tre porte”.

Le tre porte? Chiese la donna.
Poi aggiunse, in un tempo non distante, sempre la donna:
“Non so  cosa siano le tre porte. Non conosco la loro esistenza e neppure il significato, ma so che bisogna entrare ed uscire sempre da una porta. Nelle tradizioni del mio paese si dice che si entra e si esce sempre dalla stessa porta…”.

L’uomo vestito di bianco le prese la mano, così ricorda la donna, e le baciò le dita.
Poi aggiunse:
“Ascolta. Le tre porte hanno tre significati che la vita di ognuno di noi attraversa. La paura. Il labirinto. La nostalgia…”.
E la donna:
“Sono tre porte?”.
“La metafora non è un gioco leggero perché si porta tra le rughe del viaggio l’inquieto il disperato la morte”. E allora, disse ancora la donna, “… non solo  tre porte…”.
“Sono tre porte. Ascolta. La paura vive di inquietudini. Il labirinto raccoglie le disperazioni. La nostalgia combatte sempre con la morte. Come vedi non ci sono vie di mezzo tra il dubbio e la perseveranza nelle scelte. L’inquieto teme il passo del tempo ma anche del proprio pensiero. Il disperato è un perduto nei labirinti e sa che Arianna, l’Occidentale, è sempre un’illusione e noi qui, in Oriente, non conosciamo l’illusione. La nostalgia dove lottare con la morte perché sino a quando si ha nostalgia la morte trova difficoltà ad uccidere il pensiero…”. Così disse l’uomo vestito di bianco.

La donna nel raccontarsi questa conversazione ricordandosela rimase stupita e si chiese, come se pensasse a voce alta:
“Non mi ha parlato dell’amore ed io non ho chiesto nulla della via dell’amore o della porta dell’amore…”.
Pensava. Intanto si era alzata e aveva abbandonato la sua orazione e aveva lasciato la Moschea. Il vento giocava con le aquile e i gabbiani. Il deserto era di fronte al mare e il mare custodisce voci.

“Ma perché non mi ha parlato della porta dell’amore…”. Gli echi hanno sempre il loro senso come le voci che l’anima consegna al mare e al deserto.
Si allontanò dalla Moschea. Lentamente. Andò verso il mare. Gli scogli sono una barriera.
Su uno scoglio impaginato di sale si trova scritta una frase: “Vivi le due porte come un viaggio. Vivi la terza porta come una attesa nella pazienza. Ti accorgerai che tra gli spazi di ogni porta ci sono le vie dell’amore. Non raccogliere nulla. Sarà l’amore a raccoglierti.  Proteggilo. Proteggilo sino a quando non sarà lui a custodirti sino alla notte della luna bianca”.

Più volte si è trovata a rileggere quella scritta. E si disse: “… ed ecco allora la risposta che cercavo… Quell’uomo vestito di bianco ha seminato germogli, ma nulla ha definito con delle risposte… quando cercavo di far trapelare il suo disappunto aveva una sua porta che era il silenzio… ma quante verità in quel silenzio… vorrei cercarlo ancora quel vestito bianco, quell’uomo che sorrideva senza mai ridere e portava intorno ai polsi dei fili gialli e rossi… mi manca… devo cercarlo anche se salutandomi, ricordo, disse che sarebbe diventato introvabile soprattutto quando la saggezza avrà la voce degli ipocriti e non sarà saggezza perché il suo viaggio non ha religiosità ma solo illuminazioni…”.

La donna smise di dirsi.
Guardò il mare. Verso Sud il vento attraversava il volo delle aquile… Verso nord i gabbiani incontravano le colombe…
Su un altro scoglio, non completamente impaginato di sale, il sale aveva tracciato una frase: “Se cerchi l’armonia osservati negli occhi di chi ha scelto il silenzio per compagnia. Se cerchi l’illuminazione non cercarla. Il mistero è sempre un segreto. Ma ogni via di mezzo ha il rischio dell’inganno. Rivolgi sempre il tuo sguardo ad Oriente. Una voce ti dirà”.

La donna non smise di osservare il mare. Aveva sempre inrorno al viso e sul capo un foulard. Solo gli occhi… La Moschea era lontananza. Il deserto era negli occhi e le parole dell’uomo vestito di bianco disegnavano nel vento arcobaleni…

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