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mercoledì 12 marzo 2014

Ma quali Angeli e Demoni nel Dante che cammina i nostri passi.


Nel mistero degli Iniziati c’è il Dante che segna il viaggio nella tradizione della modernità

di Micol Bruni


La Ragione del Concreto e l’Ampiezza del Crepuscolo sono i due “Limiti” di una filosofia dello Specchio, che va oltre la filologia di una poetica, che ha trovato in Dante Alighieri il riferimento di un Medioevo che non è stato età degli inferi, tra “angeli” e “demoni”, come spesso, “scolasticamente”, si usa pronunciare. Il dibattito di questi anni è oltre la “Commedia” dell’analisi, perché, in un tale contesto, non si può prescindere della frattura tra la filosofia neo – medioevale e quella pre – illuminista che caratterizzerà tutto il Settecento sino a rompere quella teologia del sapere in una frattura con l’esistenzialismo senza l’ismo.

Perché Dante è oltre il Medioevo? Perché spezza lo Specchio dell’ideologia definendosi in una teologia dell’esistenza. Il punto centrale negli studi su Dante, soprattutto in una secolarizzazione della parola duellata tra storia, antropologia e religione, resta il binomio fondamentale tra René Guenon e Maria Zambrano.
Dal “simbolismo apocalittico” di Guenon allo “specchio umano” della Zambrano. Ma la vera rottura tra il dantismo dei dantisti, o del dantismo meramente scolastico, e il Dante dell’universalismo, consiste in un approccio che è quello alchemico – magico. Da questo punto di vista il Dante “apocalittico” è quello dell’intreccio tra il  Marsilio Ficino dell’Umanesimo dell’uomo religioso e dell’Umanismo di Haidegger.
È impensabile che oggi Dante possa proporsi attraverso l’analisi, pur importante, del testo senza cogliere il processo, non politico o giuridico che sarebbe il fatto più necessario e “leggero”, etno-antropologico-esoterico che costituisce una chiave di lettura nell’interpretazione di una lettura della cultura del Mediterraneo.
Un Mediterraneo non solo Islamico, Arabo e Medio – Orientale, ma un Mediterraneo divisivo, in quel contesto, in cui l’approccio romantico si è sfarinato nella proposta archeologica della lingua di Dante stesso.
Si possono fare tutte le deduzioni possibili e praticabili, ma se non si passa attraverso la metafisica della Zambrano non si avrà una compartecipazione tra valori e ideali di un Dante nel diritto alla “democrazia” di una letteratura oltre la semplice analisi testuale.
Dante non è più Medioevo. Sul piano politico e giuridico si contrappone a – priori, l’ho già sostenuto in altre occasioni, a Machiavelli, il quale resta nella Ragione della Storia, e anticipa nel “Convivio” e nell’Eloquenzia sia il Tommaseo che lo stesso modello contradditorio di Manzoni. Comunque resta un passo indietro rispetto al coraggio e all’eresia di Giordano Bruno. Così come rimane scollato da ciò che, successivamente, dirà Tommaso Campanella.
Da “Dio” al “Sole” c’è un simbolismo archetipale,  e, come afferma Guenon, “una allegoria metafisico - esoterica”. Ovvero da Agostino a Campanella si vive la fermezza e l’alternanza. Campanella è oltre perché sa dell’Utopia. Tommaso Moro cementifica il rapporto tra eresia e utopia.
Ma Dante è nostro contemporaneo se si comprende il non valore del poeta e si applica il diritto alla morale e alla teologia della parola dialogata attraverso la “costruzione” della storia, che non è la “libertà” del tempo dell’unificazione tra teologia e filosofia.
C’è il diritto all’esilio della parola, anche nella giurisprudenza dei delitti e delle pene, in tutta la letteratura che verrà dopo Dante sino a Pound. Ezra Pound e i suoi “Cantos” sono la divinazione del Dante oltre il testo. Ma non basta neppure Pound senza la visione del concetto di “iniziato”.
Qui i Mediterranei che bisogna rivelare in Dante nascono da due centri: i Misteri e i Dubbi. Attenzione, però. Qui Dante potrebbe frantumarsi, il Dante antologico per cedere il passo a quello Ontologico. Ma l’esoterico non è nei numeri, piuttosto nell’apparizione sparizione (o meglio “spartizione”) tra Beatrice e Virgilio.
Beatrice è l’apparenza dell’esoterico (il velo pascoliano è eccezionale) tanto che lo stesso Dante la definisce una Vita Nuova. Ma è anche la dissolvenza. Il mondo esoterico è Nuova Esemplarità tra Templarismo e Rosacrocianesimo. Virgilio è l’Avvento ma anche la Profezia.
In Dante c’è la rivelazione dei Misteri. È un punto cruciale. Questa rivelazione è alchimia e va oltre gli “angeli” e i “demoni” di una teologia del Nulla Accerchiante la Sfera di un Agostino, che vive in incipit ciò che vivrà Campanella nel “Sole” e ciò che sarà Bruno nel non attraversare il Fuoco, ma nel “sostare” nel Fuoco.
Sostare nel fuoco è chiudere, allegoricamente, le porte e le bifore a qualsiasi angelo o demone e a qualsiasi nulla, perché ciò che possediamo, come nel testamento filosofico di Manlio Sgalambro si avverte, è soltanto il “Pensiero”. E il “Pensiero” non è e non ha Ragione o Sentimento.
È Pensiero nella rivoluzione – rivelante dell’Uomo in Rivolta di Camus e prima nell’Uomo finito di Papini. C’è un atto primordiale che va oltre la “Commedia” e il verso ed è, appunto, la Metafisica. Ma la Metafisica non è un “accidente” dell’Occidente. Resta la pietra triangolare della sacralità della “Rosa” che è rivelatrice degli angoli nascosti nei deserti dell’anima labirintica dell’uomo.
Le ombre delle idee le chiamava, sollevandole al Mistero, Giordano Bruno discutendo delle “immagini”. Del “sigillo di Lutero” parlava Guenon.  E Maria Zambrano considerò Dante: “…el gran viajero del Islam entrò”.

Pellegrino! Dunque. Ma i Pellegrini non hanno bisogno di angeli e neppure di demoni, perché gli inferi sono quella voce, e in quella voce – destino, della Tiresia ascoltata  nel canto di Leucò di Cesare Pavese.

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