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venerdì 27 dicembre 2013

Padre Salvatore Discepolo. A un anno dalla scomparsa: Un Gesuita nel cuore delle culture meridionali

di Pierfranco Bruni


Ricordare padre Salvatore Discepolo a un anno, in gennaio, della sua scomparsa è  come ricomporre tasselli nel mosaico degli incontri che ti sono camminati dentro. Ho scritto proprio un anno fa su padre Discepolo (nato a Napoli nel 1927 e morto a Grottaglie il 21 gennaio 2013). Ma l’altra sera, ripresentando il nostro libro su San Giuseppe Moscati, me lo sono trovato accanto ed è stato come se dialogassi con lui, con padre Rastrelli, che ha prefato il nostro Moscati, con padre Ferdinando Castelli scomparso il 13 dicembre scorso.

La famiglia dei Gesuiti, ho detto, è un viaggiare tra la devozione, la misericordia e la consapevolezza della missione. Anche nella letteratura c’è un viaggio che è missione. Senza il valore della vita vissuta come missione il senso della parola in letteratura non avrebbe senso.
In molte occasioni ho parlato di ciò con padre Discepolo proprio quando si affrontavano questioni legate a poeti e scrittori. Ho già sottolineato, in altra occasione, l’importanza del nostro dialogare su Cesare Pavese. Uno scrittore che è stato nella “accettazione” volente o nolente del tragico inquieto in una interpretazione che la luce dei Gesuiti ha disegnato come l’uscita dalle tenebre. 
Ma oltre a Pavese il nostro dialogare è caduto su altri problemi e su altri scrittori. Parlammo di padre Castelli e dei suoi saggi dedicati ad una interpretazione della letteratura. Ma ricordo che tra me e padre Discepolo ci fu un interloquire che mi portò indietro di decenni e il protagonista di ciò era un libro di Giuseppe Berto dal titolo: “La Gloria”. 
A questo autore anche padre Castelli ha dedicato molte pagine. È nella tradizione dei gesuiti scavare nel dubbio e nel tentativo dell’ignoto di sradicare le coscienze dal dubbio. Ma loro sanno bene che occorre impegnare l’anima per far diventare Cristo una vera “insonnia del mondo”. 
Ebbene, con padre Discepolo parlammo di Berto. Perché? Perché io non smetto di far primeggiare nei miei scritti la figura di Giuda. Giuda è il protagonista che ha reso sempre vivo e presente Gesù. E Berto intavola un dialogo in un articolato colloquio tra Giuda e Gesù. Chi è stato a tradire? Il dubbio cammina nei pensieri dell’insonnia? 
Padre Discepolo mi ha sempre detto che restano entrambi non nella storia o nel destino, ma per disegnare, lungo il cammino, il male e il bene. Su questo argomentare si sono aperte diverse finestre. Io che raccolgo la sfida dell’al di là del bene e del male (nicciana visione che non è mai ragione della storia ma è sempre più rivolta nei confronti di un “anticristo”) ho letto nelle suggestioni di padre Discepolo un messaggio di continuità tra il mistero e la speranza. 
Avrebbe senso il mistero senza la speranza? Mi disse. Infatti nel momento in cui Pavese si è lasciato intrappolare dal mistero, anche da quello legato al sacro, non ha avuto l’àncora della speranza che conduce alla salvezza. Berto ha cercato la speranza nel far dialogare Giuda e Cristo. 
Il fatto è, e su questo convenimmo, che la letteratura se resta solo teologia ha bisogno di una giustificazione, ma se penetra i “sottoscala” del mistero si regge con la provvidenza oltre la stessa profezia. Poi si parlò della quotidianità. Ma questi sono altri passi nel nostro cammino. 
Ogni qualvolta, con padre Ferdinando Castelli, negli ultimi tempi, si discuteva della pazienza dello scrittore mi riportavo al dialogare su Pavese e su Simon Weil intercettato con padre Discepolo. Restiamo sempre in quel mondo che da Ignazio va a Matteo Ricci sino a papa Francesco. Mai violare o tentare di violare l’intelligenza superandola con il solo sapere. 
La letteratura diventa conoscenza soltanto se la Grazia cammina con noi. Forse anche per questo non smetto di citare il sogno barocco di padre Discepolo. Quel barocco che non è forma soltanto, ma è un immaginario di saperi che si trasforma in vera e propria sapienza. 
Bisogna ricordarlo padre Discepolo. Ora che è venuto a mancare anche padre Castelli, credo che il colloquio nostro interiore diventa più complesso, e dobbiamo cercare le risposte giuste per allontanare quel Dio che alcuni credono ignoto, ma che è rivolta in un tempo che vive di ribellioni.

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