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venerdì 7 dicembre 2012

La leggenda dell’airone :Fausto Coppi

Un uomo solo è al comando… la sua maglia è biancoceleste… il suo nome è Fausto Coppi “.Con questa frase di Mario Ferretti, nella cronaca della Cuneo-Pinerolo, terzultima tappa del Giro d'Italia del 1949, Fausto Coppi entrava nella leggenda del ciclismo. Come l’airone , Fausto presentava un corpo molto allungato ed affusolato, un collo sottile ed angoloso e lunghe gambe: come l’airone  egli si librava nell’aria,fendendola ed aprendola  in eleganti spire che  trasmettevano energia e leggerezza, bellezza e magia. Soprannominato il Campionissimo o l'Airone, fu il corridore più vincente e famoso dell'epoca d'oro del ciclismo, ed è considerato uno dei più grandi e popolari atleti di tutti i tempi.
Il 2 gennaio 1960 scomparve,per una malattia non diagnosticata, un campione ineguagliabile, eroe del novecento, un emblema del nostro paese che ancora oggi, nonostante siano passati piu’ di  cinquanta anni dalla sua morte, celebriamo e ammiriamo.Fausto Coppi non si è mai spento, perché, morto lui, nasce il suo mito, che grazie alla sua modernita’ resta indissolubilmente legato alla nostra realta’ contemporanea e a…noi stessi.Nasce il 15 settembre 1919, ed è Castellania a dare i natali a questo uomo straordinario che ha accompagnato la difficile rinascita dell' Italia del dopoguerra.
In un periodo cosi’ duro per il nostro paese,che veniva dagli orrori della guerra, ha tracciato una via di speranza, è stato un esempio, un luminoso diversivo, tramite le sue immortali gesta, che hanno dato una spinta, un'iniezione di coraggio, per la rinascita di un intera nazione che in Coppi ha riconosciuto una bandiera.Egli è stata una figura sovversiva, un vero innovatore, essendo il primo a considerare il ciclismo un viaggio alla scoperta e alla sfida dei propri limiti, una lotta per affinarsi, un indagine e una ricerca del proprio corpo, tutto  finalizzato per migliorare le proprie prestazioni. Nato nella poverta’, grazie ai suoi sacrifici realizza il suo sogno, dando vita a una favola che ancora oggi ci coinvolge, incantandoci.E solo chi nasce nella poverta’ puo’ capire il valore della ricchezza!Uno sportivo eccezionale che vanta 154 vittorie, e gia’ nel 1940, al suo primo anno da professionista, riesce a firmare il suo primo Giro d'Italia.Dopo un periodo avaro di successi, il suo lieve declino si sostituisce a un ritorno in scena impetuoso,e costellato da soddisfazioni, come solo i fuoriclasse sanno fare.Dal 1947 fino al 1952 riesce a vincere 4 Giri e 2 Tour de France e fu il primo a trionfare nelle due grandi corse a tappe nello stesso anno.Coppi scrive una commedia, dove recita in ogni vicenda sempre d'attore protagonista: atleta straordinario, e professionista esemplare nelle corse, uomo ricco, famoso e gentleman nella vita privata, dove cattura interamente l'interesse mediatico, che ne esalta le gesta epiche e allo stesso tempo gli scandali che caratterizzano la sua sfera intima. La sua morte improvvisa, in modo paradossale, allucinante, le sue imprese eroiche, strabilianti, sono fatti avvolti da un alone di mistero che hanno fatto di Fausto un personaggio solenne, un modello assoluto, da diventare fenomeno da leggenda.Nel 1959 Coppi va in Africa, in Burkina Faso, dove contrae la malaria che ce lo porta via, nella piu’ totale incertezza, e incredibilmente, fra diagnosi sbagliate e medici incapaci di risolvere questa malattia che era nelle loro possibilita’curarla.
Scrisse il dott. Walter Panero:” Quanti ricordi si affollano nella mia mente e si inseguono. Ricordi di grandi trionfi. Della prima doppietta Giro-Tour nel 1949. Tutti ritenevano che quell’impresa fosse impossibile. E invece Fausto ci riuscì per ben due volte. E l’impresa sullo Stelvio nel Giro del 1953, quando Fausto staccò e mandò in crisi lo svizzero Hugo Koblet che sembrava avere ormai la vittoria finale in pugno. E il Mondiale di Lugano, quando tutti pensavano che Fausto fosse troppo vecchio per conquistare la maglia iridata. E ora eccolo lì, il mio idolo. Steso in un letto d’ospedale proprio di fronte a me. Eccola lì, sua moglie Giulia in lacrime. Quella che chiamavamo con disprezzo Dama Bianca, accusandola di aver indebolito il nostro campione. Ora che la vedo provo pena per lei. C’è anche Ettore Milano, uno dei suoi gregari più fedeli. Sta dicendo al primario che dalla Francia hanno chiamato sia la moglie sia il fratello di Geminiani, il corridore franco-romagnolo che aveva diviso la camera con Fausto durante la loro permanenza in Africa. Hanno detto che anche il ciclista francese è stato molto male nei giorni scorsi. E’ stato in coma. Ha rischiato di morire. Ma i medici hanno analizzato il suo sangue ed hanno capito che soffriva di malaria. Gli hanno somministrato grandi dosi di chinino e lo hanno salvato. Il mio capo, il professor Astaldi, scuote la testa. E’ convinto che si tratti di una broncopolmonite emorragica da virus e ha deciso di somministrargli dosi massicce di cortisone. Io non ho molta esperienza e penso che lui abbia ragione, ma mi chiedo se non valga la pena di capire se davvero la malaria sia da escludere. Se fosse così, il cortisone non farebbe che peggiorare la situazione.E’ notte fonda. Il campione sta sempre peggio. Più lo curano, più le sue condizioni sembrano aggravarsi. Ormai è entrato in coma. Nella mia vita tutto avrei immaginato, tranne che assistere alle ultime ore del mio grande idolo di gioventù”.
 “Era nato per vincere e non poteva morirsene sconfitto. La vecchiaia non l’ha avuto. E resta ora di lui il mito del campione che mai ebbe eguali su questa terra. Quel mito conserveremo in noi con il triste rimpianto dell’amico”
Gianni Brera, da "Il Giorno", gennaio 1960
“Era rimasto il ragazzo timido e malinconico di sempre, beneducato e taciturno. Non era un personaggio pittoresco e estroverso. Si è portato in silenzio le sue croci e le sue amarezze, senza mai addebitare ad altri le proprie disavventure. Se stavolta ha fatto in tempo ad accorgersi di morire (ma spero di no) sono sicuro che non ne ha dato la colpa né alla caccia, né all’Africa e neanche al “virus”….avrà semplicemente pensato di quel maligno bacillo ciò che una volta mi disse, al termine di una tappa del Giro della Svizzera in cui Bartali gli aveva portato via il primato in classifica: era più forte, e me le ha suonate”
Indro Montanelli, da "Il Corriere della Sera", gennaio 1960
“Poche cose commuovono come la morte d’un campione. Ne sono commossi i ragazzi che s’erano esaltati e appassionati alle sue gesta, rivivendole nella loro accesa fantasia come cosa propria, come un primato da imitare e un trionfo da condividere. Ne sono toccati gli adulti perché ne risveglia i ricordi, anche quelli della giovinezza, e segna l’inesorabile passare del tempo…”
Luigi Pintor, da “L’Unità”, gennaio 1960
“La gente amava Coppi perché egli riusciva a compiere imprese che ad altri non erano riuscite, ma lo amava ancora di più perché era visibile in lui quanto gli era costata l’impresa medesima; e tutto questo traspariva dalle sue guance infossate e da quell’espressione mesta nonostante la vittoria”
ricordo di Alfredo Martini, ex corridore e C.T. della Nazionale
“La morte del fratello, i tanti incidenti, la sua vita familiare piena di contrarietà, lordata talvolta dal fanatismo imbecille, profanata fino nella morte dai mercanti di notizie, niente gli è stato risparmiato. Egli ha superato tutto, ogni volta con lo stoicismo dei suoi antenati contadini. E anche per questo si è dimostrato grande…..Coppi è morto. L’uomo esemplare vivrà. Mai potremo scordarlo”.
André Vidal da “Le Miroir des Sports”, gennaio 1960


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