Che ora è ?

venerdì 4 maggio 2012

OMAR AL-MUKHTAR come lo ricorda un ostunese


 di Alfonso Casale
Questo nome già mi era noto da bambino quando, in mancanza della televisione, le serate in casa trascorrevano con i racconti di mio padre che in Africa aveva trascorso 17 anni della sua giovinezza   da militare. Aveva sposato a Tripoli mia madre. (al paese la chiamavano “ la tripolina”…)
Mio padre era orgoglioso di esibire i “cordoni d’onore” ricevuti dal Generale Graziani per aver fatto parte delle truppe che avevano catturato il “ribelle” Omar  al Mukhtar. Nel suo medagliere  faceva spicco una medaglia con la scritta “teneo te Cirenaica” celebrativa della definitiva vittoria sul nemico.
Egli era fiero di aver servito la Patria, di aver portato la “civiltà” sull’altra sponda. I  miei nonni raccontavano di come avevano piantato agrumi e viti nelle terre a loro assegnate  dal fascismo nel villaggio Garibaldi in Tripolitania.
Tutti erano sinceramente convinti di aver compiuto un  sacro dovere.

Io però, venticinquenne, con il vento del ’68, incominciai ad avere un atteggiamento critico sulla storia coloniale italiana. Mi fu risposto che non potevo giudicare il passato con i principi morali del presente... i miei interrogativi sono ancora senza risposta.

Quando il 9 giugno del 2009 il colonnello Gheddafi apparve in cima alla scaletta dell’aereo che era atterrato a Ciampino, portava vistosamente appesa  sul petto una foto a me già nota: un vecchio di piccola statura in catene, lunga barba bianca  e barracano  bianco, circondato da militari e funzionari impettiti. La foto risaliva all'11 settembre 1931.

Cinque giorni dopo, alle 9 del mattino, nel campo di concentramento di Soluch a 56 kilometri a sud di Bengasi, in Cirenaica, di fronte a ventimila libici  deportati dai lager circostanti e difronte ai notabili confinati a Benina, fu impiccato  con un ostentato rituale – come un delinquente comune - il settantenne Omar Al-Mukhtar che per otto anni aveva tenuto in scacco  le  soverchianti truppe coloniali italiane il Libia. La sua richiesta di essere fucilato  fu ignorata. La sua esecuzione spettacolare e  Il suo corpo, penzolante dalla forca, rispose a precisi obiettivi  del regime fascista. La scenografia enfatizzava efficacemente gli intenti intimidatori, ostentava la potenza dell’invasore e dimostrava la capacità di annientare la  resistenza.

Era necessario alimentare il terrore nella popolazione  e lanciare un monito forte.

 ( Questo metodo fu sempre un chiaro orientamento del fascismo che  adottò ferocemente questa politica  - con  Graziani “ il macellaio”- anche in Etiopia. Nel corno d’Africa ci fu l’apoteosi nell’utilizzo del corpo del nemico ucciso.)

Badoglio, governatore della Libia, subito dopo la cattura  dell’eroe, con un processo che fu una tragica farsa, che  soddisfece l’esigenza di un rituale, che serviva a rendere legale un assassinio, in dispregio di tutte le convenzioni internazionali, ne decise la condanna a morte  raccomandando che fosse eseguita “in uno dei grandi concentramenti di popolazione indigena”;  L’impiccagione soddisfece la “necessità dello spettacolo”  che  serviva a dare forza ed efficacia al messaggio da comunicare.

La  efferatezza  di Badoglio e il suo disprezzo del nemico già si manifestava nella lettera scritta a Graziani (20/6/1930) “ormai la via ci è stata tracciata e noi dobbiamo perseguirla fino alla fine anche se dovesse perire tutta la popolazione della Cirenaica”

Contemporaneamente, da Roma, il sottosegretario alle colonie De Bono  richiese “l’esecuzione clamorosa” del prigioniero

Come riconosciuto dallo stesso Badoglio, Omar, con la sua autorità ed il suo prestigio assoluto, rappresentava “l’anima della ribellione “per questo l’impiccagione pubblica ,con la conseguente esposizione del corpo sulla forca, serviva a scrivere la parola fine alle operazioni di “polizia coloniale”, mentre il metodo di esecuzione prescelto  stigmatizzava il nemico come fuorilegge, come delinquente comune.

Graziani così lo descriveva : "...Omar al Mukhtar era dotato di un’intelligenza pronta e vivace; era colto in materia religiosa, palesava carattere irruento ed energico , disinteressato ed intransigente; infine era rimasto molto religioso e povero, sebbene fosse stato uno dei personaggi più rilevanti della Senussia”

La resistenza anticoloniale contro gli italiani non era stata piegata  nemmeno dalla deportazione di 100.000 libici (su una popolazione di 700.000 abitanti) fra i quali ci furono 60.000 morti.. Gli italiani impiegarono armi chimiche (fosgene e iprite), impiegarono bombardamenti sulle oasi,costruirono una barriera di 700 chilometri di filo spinato, distrussero sistematicamente le greggi di ovini e le mandrie di cammelli, avvelenarono pozzi di acqua e devastarono le coltivazioni per fare terra bruciata intorno ai guerriglieri, confiscarono case e 70.000 ettari della migliore terra.
In occasione della rivolta di Tripoli, dopo la conquista, vi furono ovunque scene di fucilazioni di massa,razzie nelle abitazioni, stupri, incendi di villaggi, rastrellamenti ed uccisioni indiscriminate. Come in tutte le "small wars" del tempo, la soluzione stava nell’attaccare la popolazione stessa. La gente doveva imparare ad avere paura.

  Il corpo  di Omar, appeso alla forca raggiunse lo scopo, spense definitivamente  la resistenza libica  Esso rispose a una chiara logica  di strategia “ammonitiva”. Ciò fu il coronamento della  sistematica politica di terrore e “dello sterminio dei ribelli e delle popolazioni complici” perché “senza la legge del taglione al decuplo non si sana la piaga in tempo utile” (Mussolini)

L’impiccagione spettacolare restituì prestigio  e diede “soddisfazione” alle truppe coloniali, umiliate   e  frustrate da una guerra  asimmetrica inaspettatamente lunga e sanguinosa, nonostante  l’ammontare delle risorse impiegate.( 20.000 uomini dotati dei mezzi più moderni ed efficienti, con l’appoggio dell’aviazione contro appena 2-3000  beduini  a cavallo.)

Le truppe coloniali  italiane dovevano poter poi affrontare la successiva campagna di Etiopia con entusiasmo ed ardore.

Le foto del prigioniero  e  dell’impiccagione  furono rese pubbliche ed utilizzate ai fini della propaganda. (Oggi  però mostrano la vera faccia del colonialismo italiano in Libia.)

Le immagini  riproposte di Omar Al Mukhtar   richiamano alla mente  una triste  vicenda – del tutto ignorata o rimossa da noi italiani – spesso portati ad illuderci di essere un popolo di “buon cuore”.
La sorte dell’eroe libico fu tale da disonorare i suoi vincitori e Gheddafi ha voluto ricordarcelo.
Per circa trenta anni, la censura in Italia ha impedito la proiezione del film “Il Leone del deserto” perché ritenuto lesivo dell’onore dell’esercito italiano; mantenendo un lungo ed incredibile ostracismo attraverso una subdola campagna di mistificazione e disinformazione che tende a conservare della nostra recente storia coloniale una visione romantica, mitica, radiosa. Cioè assolutamente falsa.
La lotta  contro l’invasore iniziò nel marzo 1923 quando il generale Bongiovanni, governatore militare della Cirenaica, ruppe la tregua conclusa con la Senussia al termine della guerra di Libia, che aveva lasciato agli italiani (come prima agli ottomani) il controllo della stretta fascia costiera e ai senussiti quello dell’entroterra.
Omar mantenne la sua superiorità tattica grazie alla natura dei luoghi e alla conoscenza posseduta del territorio che consentivano una superiore mobilità ai cavalieri beduini, mentre i mezzi motorizzati  erano inutilizzabili per il nemico.
Omar era  da tutti considerato  il legittimo rappresentante dei senussi e dell’emiro Idris I°, Badoglio  infatti  nel 1929 firmò con lui una tregua, durata pochi mesi. Ciononostante, ad Omar prigioniero  non venne deliberatamente riconosciuto lo status di nemico legittimo. Non gli venne  concesso l’onore delle armi e la sua richiesta di essere fucilato venne ignorata. 
Il suo difensore d’ufficio dopo il  processo farsa  venne arrestato da Graziani con l’accusa di aver usato “tono apologetico” nella difesa dell’imputato.
In questo clima generale emergono fortemente lo spirito razzista, il rifiuto di considerare l’altro come interlocutore alla pari e gli effetti che ne derivano al trattamento dei morti nemici.
L’esposizione del corpo del nemico ucciso  pose fine alla guerra coloniale in Libia.
Il nemico fu considerato “inferiore” anche con argomentazioni di tipo ideologico, sociale, religioso, per cui ogni violenza eccessiva  poteva considerarsi legittima.

Omar  martire per la libertà è oggi venerato come eroe nazionale e la sua effige è riprodotta sulle banconote da 10 dinari. L’università di Tobruk porta il suo nome...

Nessun commento:

Posta un commento

blog culturale fondato dalla giornalista Lilli D'Amicis

Translate

ATTENZIONE! Gli articoli che non trovate qui sono su ORAQUADRA.INFO

ATTENZIONE! Gli articoli che non trovate qui sono su ORAQUADRA.INFO
Questo Blog ha subito una trasformazione, in questo spazio ci si occuperà solo di Spettacolo, Cultura, Sport e Tempo libero. Ho deciso di aprirlo agli operatori culturali e sportivi che con una mail di richiesta possono diventare collaboratori autonomi e quindi inserire liberamente prose, poesie, ma anche report di manifestazioni che riguardano il nostro territorio, oppure annunci di eventi o racconti dove la nostra gente è stata protagonista. Scrivete quindi a lillidamicis@libero.it, vi aspetto!!!

LIBERTÀ DI PENSIERO

"Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà,
la follia e il mistero".
Pierpaolo Pasolini
scrittore
ammazzato nel novembre del 1975

Visualizzazioni ultima settimana

EINSTEIN DICEVA SPESSO

“Il mondo è quel disastro che vedete, non tanto per i guai combinati dai malfattori, ma per l’inerzia dei giusti che se ne accorgono e stanno lì a guardare”.