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lunedì 6 febbraio 2012

Il libro di Pina Colitta visto da Antonia Tagliente


Pina Colitta è innanzitutto una persona cui voglio bene: ho imparato ad apprezzarla come collega, insegna infatti lettere al Liceo Moscati e poi come persona. Sempre impegnata, svolge il ruolo di consulente familiare, collabora con un’associazione di volontariato nel capoluogo, ha realizzato uno studio sulla resilienza con cui delinea il percorso che un essere umano può compiere per riuscire a trovare dentro di sé le risorse necessarie per accettare e superare i momenti di difficoltà. 
 "Attraverso la lettura di quello che è il suo primo libro ho avvertito l’autrice come una donna ribelle alla solitudine che uccide. Sopraffatta dalla vita, Laura, così si chiama la protagonista, si racconta e racconta ciò che le è accaduto. Passano gli anni ma i segni sono rimasti.  La Laura del libro è però una donna che ha sconfitto le avversità con la sua voglia di capire, con la sua capacità di saper ascoltare se stessa e gli altri,  con un sentire affamato le proprie emozioni  che annoda come una corda di salvataggio che lancia all’altro perché, dice Laura,  vivere è relazionarsi, interagire con l’altro da sé, creare un legame
.Presentare un libro è sempre una cosa difficile o perlomeno delicata. Il rischio è di dire troppo o troppo poco. Magari di parlare troppo dell’autore o di parlare troppo poco del libro e senza volerlo si può perdere di vista quella che è l’essenza, la sua atmosfera.In realtà è più facile presentare una mostra di quadri per es. perché il soggetto si presenta da sé tu vedi quello che c’è e lo cogli nella sua interezza. Con un libro non è così, serve l’approccio diretto, la metodologia della full immersion: lo leggiamo e basta. Ho accettato volentieri l’invito a presentare “ Nell’Anima” anche perché appartengo a quella categoria di individui che per tutta la vita non ha mai smesso di leggere anche se, per vostra fortuna non ho mai scritto . Credo che il libro costituisca in sé e per sé un valore assoluto anche in quest’epoca in cui sembra essere diventato il figlio di un dio minore. E’ ancora uno strumento in grado di comunicare l’anima. “ Gli uomini, scrive Alessandro Baricco, hanno bisogno di storie. Non soltanto per trasmettere sapere. Ogni storia è la custodia della speranza che questa vita non sia l’unica, che se uno volesse potrebbe avere un’esistenza differente”.Dunque presentare un libro è una forma di comunicazione: chi scrive si racconta attraverso le sue parole e chi legge ha un volto da associare alle parole. Si tratta di un completamento che conferisce un sapore in più perché un libro è pieno di sapori, come è pieno di odori e di immagini, di emozioni e sensazioni..o di niente, ahimè ed ecco allora il libro che non leggeremo mai fino in fondo. La protagonista di questo libro, Laura appunto, inizia il suo lungo viaggio confessando se stessa, mostrandosi agli occhi non sempre benevoli di chi la osserva, per quello che è: una donna forte che è diventata adulta da bambina che era attraverso la sofferenza, la negazione e l’abbandono: le cicatrici ce le ha ancora tutte addosso ma non accetta il suo quasi predefinito ruolo di vittima. Attraverso il dolore ricostruisce se stessa, non rinuncia al proprio io, non rinuncia a costruirsi una propria identità e la rivendica al mondo chiedendo ed offrendo ascolto, comprensione, condivisione.Laura si racconta non facendo sconti nè a se stessa né agli altri, scavando nella propria anima, mettendo in discussione tutte le proprie relazioni per capire meglio se stessa e, perché no, offrire agli altri uno strumento di autoanalisi. E’ uno scritto coraggioso, che prova a combattere ogni forma di ipocrisia e tenta di descrivere le cose così come sono per lei Inevitabilmente la lettura mi ha fatto tornare a ciò che per oltre trent’anni un mio amico vissuto migliaia di anni fa, mi ha mormorato nelle orecchie “ l’uomo è la sua anima, conosci te stessa perché se ti conosci conoscerai anche gli altri”. Probabilmente in tal senso non sono stata una brava alunna, a differenza di laura che va sino in fondo trovando nella scrittura un veicolo catartico, in grado di liberarla dalle sue catene. Mi sono ritrovata così un po’ ad invidiarla questa donna: è riuscita a fare ciò che credo la maggioranza di noi non riesce neanche a sfiorare, mostrare le proprie debolezze, le proprie ferite senza timore, cercando di andare oltre.Ma mi ha fatto venire in mente anche un altro amico mio, Pirandello, che fa parlare , in una sua famosa commedia, la signora Frola. Ai familiari o presunti tali che le chiedono infine di svelarsi, di dire chi veramente essa sia, risponde semplicemente:” io sono colei che mi si crede”.Pina  o Laura, come volete, invece si toglie il velo ponendo chi legge nelle condizioni di chiedersi: io sarei capace di fare altrettanto? Se proprio devo usare un aggettivo allora dico che la protagonista è una donna che ha avuto coraggio e questo è un libro che parla di coraggio perché va contro i luoghi comuni, contro l’indifferenza ma soprattutto contro l’ipocrisia che ricopre come un velo di polvere tutti i rapporti umani. Io vi ho visto una sorta di AMMUTINAMENTO dell’anima, di incontri-scontri tra generazioni differenti, un urlo contro la solitudine. Vediamo la struttura del racconto: per comunicare la protagonista usa l’epistola, la lettera, proprio oggi che scrivere con la bic non usa più, la Laura del libro ne fa uno strumento indispensabile. Dunque scrive: a chi. Scrive a suo padre e della solitudine che ha caratterizzato il loro rapporto, del non sentirsi accettata e ne soffre, è una ferita non rimarginata. Scrive al suo uomo confessandogli con lealtà le ragioni della difficoltà del loro rapporto. Laura scrive anche al figlio e gli dice che la fortuna non l’ha mai accompagnata per i genitori che si è ritrovata, con una madre succube di un amore malato e traditore. Scrive Laura ai suoi alunni, al suo Preside, al suo parroco e ricorda sua madre, direi con struggimento.E poi ci descrive la scuola in cui lavora, una scuola che pare aver dimenticato la sua vera missione a favore di astrusi quanto inutili progetti, soffocata da Pon, Pof e chi più ne ha più ne metta, una scuola in cui anche i rapporti umani sono ormai deteriorati. Laura ci racconta anche una favola, quella del sasso nella minestra e chiude con diverse riflessioni che si chiudono con “ l’essere umano è solo”.
Per me leggere questo libro ha significato leggere delle donne e della loro solitudine. Credo che essere donna sia un mistero poliedrico, perchè ciascuna di noi deve trovare la propria strada e la strada delle donne va oltre, la strada delle donne è pura potenzialità. Questo libro mi ha ricordato che le donne, ognuna a suo modo, sono sempre portate all’amore, alla passione, ai sentimenti: nei rapporti di coppia, nei legami, nella realizzazione di sé, nella causa che hanno abbracciato, nella rivoluzione che hanno combattuto, nell’omicidio che hanno commesso, nella fedeltà e nel tradimento, nella ricerca di una professione. E’ un’indipendenza a tutto tondo, non solo economica, è ancora la ricerca di un’identità intessuta di interrogativi. Spero che a questi interrogativi, almeno ad alcuni, Pina abbia trovato le risposte che cercava.

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